di Francesco Scarrone
con Franca Nuti
regia Marco Lorenzi
e con Lorenzo Bartoli, Yuri D’Agostino, Marco Lorenzi, Barbara Mazzi, Maddalena Monti, Andrea Redavid
prodotto da Arcipelago Teatro Festival Porto Venere 2010 in collaborazione con Il Mulino di Amleto
spettacolo site-specific realizzato per la Chiesa di S. Pietro di Porto Venere, 6 Agosto 2010
Sinossi
Dopo la conquista e il saccheggio della città di Troia ha inizio una delle storie di Dolore più assolute che siano mai state raccontate: la storia di Ecuba.
Il “Per Ecuba” trae spunto da questo mito per raccontare la lotta personale che Ecuba compie contro se stessa. La guerra è finita. La tragedia di Euripide è compiuta. E’ notte. Nello spazio solitario e silenzioso, in cui Ecuba siede prigioniera, è arrivato il momento per la memoria e per il ricordo. Un ricordo così forte e doloroso da essere reale e presente, tanto da manifestarsi sottoforma di un Coro, composto dai morti che hanno scalfito la sua vita e che sono tornati a parlare con la regina ormai schiava. La donna è costretta ad affrontare il suo senso di colpa sottoforma di Coro, ricordare il suo passato per poterlo superare, per poter comprendere il dolore e il lutto di cui è prigioniera e che pesa più delle catene della sua schiavitù. La prova è durissima, ma quando il Coro, sul finale, si ritira nuovamente nel buio, nelle tenebre della mente di Ecuba, la regina è finalmente in pace. Solo allora Ecuba si può muovere dal trono verso la tomba di Polissena, piangerla e ritrovare nell’affetto e nell’amore di madre la salvezza dal reiterarsi senza senso della violenza e dell’odio.
Note di regia
Entrare nella chiesa di San Pietro sarà come entrare in una grande scatola nera dei ricordi di Ecuba.
Come scrive Jan Kott “l’eroe della tragedia è solo perché vive tra i morti”.
Il nostro PER ECUBA inizia da lì.
La storia è già finita.
Rimane solo lei.
Solo Ecuba.
Sola.
Circondata dal ricordo del passato,
e dai suoi morti.
La nostra Ecuba vive in uno spazio e in un tempo sospesi. Il suo passato è una storia altissima di ascese e cadute, di Fortuna crudele e vendetta. Il suo presente è circondato dai morti che hanno segnato la sua vita e che sino alla fine si rifiutano di morire.
Il pubblico che entrerà nella chiesa di San Pietro entrerà nella memoria e nella coscienza di Ecuba.
La storia di Ecuba, alla fine, è la storia della fragilità del Bene, ovvero di come è possibile che una persona buona, una persona etica possa trasformarsi in un mostro senza pace, dedicare tutte le sue fibre alla vendetta e di come il Male possa penetrare nel Bene, distruggendone completamente la struttura morale, anzi sovvertendola.
Ecuba, quintessenza della virtù, diventa alla fine una Erinni impazzita.
Questa è la fragilità del Bene.
Questa è la nostra fragilità.
La nostra Ecuba attraversa questo dilemma etico partendo da un altro inizio rispetto ad Euripide: la nostra storia comincia da dove la tragedia classica finisce.
Tutto è già successo.
Le stragi sono già avvenute.
La vendetta contro Polimestore, anche, è già avvenuta.
In scena rimane solo Ecuba, stanca, sola.
Apparentemente sola.
Perché la vendetta non ha esaurito l’angoscia, i sensi di colpa rimangono come ombra fuori e dentro Ecuba.
Dico questo perché la storia di Ecuba è soprattutto una storia di morti che tornano, che continuano a chiedere qualcosa, oppure che chiedono ancora ai vivi attenzione.
Breve rassegna stampa
“un’altra pagina di vero teatro…momenti di grande commozione si levano tra il pubblico scanditi dal regista Marco Lorenzi” Etta Cascini, Sipario